Allora, quando si veniva solo stagionalmente per la raccolta delle olive, e le campagne, fino ad un attimo prima silenti, cominciavano a pullulare del vocìo sonoro e stridulo delle raccoglitrici, dei loro canti a schiena piegata, dei loro ciuciulìi interrotti dai richiami del caporale di squadra, mentre le dita femminee spizziculiavano i frutti neri dal terreno arrampato, e la fantasia tesseva ricami di amori, segreti quanto immediatamente risaputi; o quando, sotto il caldo dell’estate, si ballava nel grano fluttuante di oro al vento, tra riti e speranze di una mietitura tanto attesa…allora, il tutto era sotto la guida sapiente di zio Giovanni, uno dei fratelli dell’austero nonno Rodolfo.
A quei tempi, una tradizione, sociale quanto economica, voleva che nelle casate dei proprietari terrieri, tra i tanti figli che popolavano le stanze dei palazzotti cittadini, le donne andassero spose -spesso ai cugini stessi, come nel di Zia Titina e zio Pierino, fidanzati segreti sin dalla prima infanzia, portando in dote corredo, denaro e tanta pazienza e sapienza domestica; i maschi, invece, avevano la sorte segnata dall’anagrafe.
Il primogenito, infatti, era l’unico che poteva sposarsi, “prendere una professione” e restare titolare del patrimonio da tramandare intero alla generazione successiva. Gli altri, se non diventavano preti – e zio Giovanni non era certo “pezzo da tunica”!!!- restavano nella grande famiglia ad amministrare i beni.
Avvenne proprio così anche in casa Mazzei, con la differenza che a sposarsi e a prender professione, l’uno di magistrato, l’altro di medico, furono in due: Rodolfo, stabilitosi nei possedimenti di Rossano, Raffaele, in quelli di Santo Stefano. Gli altri tutti in casa, nel ruolo di amati e riveriti zii.
Se poi, nonostante le preghiere e i voti, nascevano solo donne, beh, a goderne erano i fortunati mariti, come nel caso delle marchese Perrone, quattro sorelle, una delle quali, Gabriella, sposa Achille Mazzei, e porta in dote proprio il Gelso. Il Gelso…
Per tanti anni il Gelso ebbe, quindi, il volto di Don Giovanni… nomen omen! Sue le cure, sue le fatiche, suo lo spaccio di sali e tabacchi, sue, principalmente, le attenzioni di tutte le allegre raccoglitrici, per le quali, dopo il duro lavoro della giornata, era lui ad organizzare feste, canti e balli sull’aia.
Il testimone passò dopo di lui al nipote Achille, il primo figlio maschio di Rodolfo, chimico di professione, storico per passione, novelliere per amor di compagnia; fu poi la volta del fratello minore, Nestore, appunto, che, con Franca, lo scelse negli anni ’70 come residenza stabile.